05 agosto 2014

Agenda digitale e innovazione: ancora non riusciamo a vedere il dito, figuriamoci la luna.


Stefano Epifani, direttore di TechEconomy
Se il paese guarda al dito mentre il mondo è già sulla Luna vuol dire che siamo messi proprio male. L'analisi fatta da Stefano Epifani su TechEconomy è impietosa, ma come dargli torto?

Basta guardarsi intorno. In troppi guardano semplicemente altrove. Sembrano persi nel mare delle tecnologie, offuscati da improbabili credenze ideologiche, paralizzati dalla paura per i cambiamenti, tanto da non riuscire neppure a vedere il dito, che almeno indica una direzione, figuriamoci la Luna.

Mi piace la metafora della Luna. Possiamo immaginarla come la meta da raggiungere per metterci al passo con chi è avanti, con chi ha già tracciato una valida rotta e sulla Luna si è già stabilito e già si prepara ad andare oltre. Noi ancora no. A noi piace attardarci "in discussioni inutili e ragionamenti circolari", che ci riportano sempre vicini al punto di partenza.

Pratiche ostruzionistiche per ritardare l'approvazione
di leggi in Parlamento.
Pensate un attimo alla discussione in corso sulle riforme istituzionali e a quello che sta succedendo in Parlamento.

Dopo più di un decennio di regresso dovremmo ormai tutti aver capito che il sistema attuale non va bene e va cambiato. Troppi decisori autonomi sulle stesse materie, troppi centri di spesa e gruppi di interesse in grado di attingere alle risorse pubbliche, troppe procedure e passaggi burocratici, responsabilità non chiare, tempi troppo lunghi per decidere, meccanismi inefficaci per attuare le decisioni prese, e così via.

Pur avendolo capito, non siamo riusciti finora a fare delle riforme coerenti. Invece di discutere nel merito dei problemi, individuare delle soluzioni migliorative e approvarle anche a maggioranza, siamo sempre riusciti a dividerci in gruppi in guerra fra di loro. Chi è in minoranza lavora per bloccare  o ritardare quello che fa la maggioranza. E quando si cambia governo, si butta tutto via e si ricomincia da capo.

Certo, sappiamo bene che la democrazia è un sistema che deve garantire la libertà di pensiero e di azione, ma deve anche avere regole per gestire i conflitti in modo efficace, per garantire che le decisioni necessarie al bene comune siano alla fine assunte, siano coerenti fra di loro e siano costantemente attuate in tempi certi e con costi ragionevoli.

Sembra incredibile, ma per qualche ragione siamo finiti in una situazione nella quale non si riesce più a decidere, nemmeno le cose più ovvie, e quando si decide le decisioni spesso non si attuano, e quando si attuano quasi sempre i costi crescono e i tempi di attuazione si dilatano.

Questo accade in tanti campi, ma soprattutto, come dice Epifani, accade  "nell’ambito dell’information technology, in un contesto che dovrebbe essere invece dinamico, proattivo, stimolante". Un ambito peraltro essenziale per la modernizzazione, la competitività e lo sviluppo del nostro Paese.

Certo gli stimoli e gli investimenti non sono davvero mancati. Prendiamo ad esempio il sistema di autenticazione in rete, oggi riconosciuto come uno dei pilastri dell'Agenda Digitale . Negli ultimi vent'anni ci siamo attardati non poco nel cercare di riprodurre in rete gli strumenti di autenticazione/identificazione del mondo cartaceo. Abbiamo creato tra i primi la firma digitale - Dio ci perdoni - poi la Carta Nazionale dei servizi, varie altre tipologie di firme elettroniche, il capolavoro della Carta di Identità Elettronica, la Posta Elettronica Certificata e quant'altro, per arrivare oggi a pianificare il PIN Unico del cittadino, il Sistema Pubblico per l'identità digitale o SPIN e l'indirizzo elettronico inserito nella nuova Anagrafe Nazionale Unica della Popolazione Residente.

Risultato? Anche chi, come me, ha avuto credo tra i primi tutti questi strumenti quando disponibili, ha potuto misurare un valore aggiunto molto vicino allo zero.

Per fortuna il mondo e grande, e - come ci ricorda Stefano Epifani - ci sono "aziende come Google" che "mettono in moto meccanismi che cambieranno realmente il nostro modo di percepire il mondo e di interpretare il reale".

Sono soggetti che invece di accumulare insuccessi, si espandono e vincono perché, anche se non dispongono di pubblici poteri, riescono a decidere, ad attuare le decisioni, a correggere in corso d'opera gli inevitabili errori e a realizzare e diffondere strumenti effettivamente capaci di fornire valore aggiunto.

Le informazioni e le applicazioni devono risiedere
nel cloud ed essere accessibili dagli utenti
da qualsiasi luogo e con qualsiasi dispositivo,
senza richiedere installazioni di software.
Un solo esempio! Quanti di voi utilizzano gli strumenti di collaborazione e di gestione dei documenti di Google?

Sono sicuri, sono gratuiti o costano pochissimo nella versione professionale, consentono la gestione integrata e collaborativa delle informazioni, dei documenti e delle comunicazioni, raddoppiano - a dir poco - la produttività rispetto agli strumenti tradizionali. Niente più documenti sotto forma di file residenti su un computer locale - quante informazioni perse per un qualche guasto - niente più file da copiare e inviare via mail ai collaboratori, per poi ricevere diverse revisioni da assemblare e re-inviare, poi riassemblare anche più volte, fino al documento finale, da autenticare, firmare digitalmente, marcare temporalmente, inviare via PEC.

I moderni sistemi di collaboratione nel Cloud rendono tutto questo semplicemente obsoleto, un puro costo di denaro e di tempo da superare.

Nessuno si sta accorgendo che il mondo delle tecnologie sta rapidamente e per fortuna cambiando grazie all'affermarsi del Cloud Computing, dell'informatica in rete, o sulla nuvola o se vogliamo sulla Luna, per stare in tema.  E sulla luna si lavora già in modo diverso. Come?

Le informazioni e i documenti non devono essere
trasmessi in copia, sono gli utenti che accedono
direttamente agli originali attraverso la rete.
Le informazioni?

I file su un proprio dispositivo non si usano quasi più. Tutti i dispositivi sono connessi, spesso ad alta banda.

Non è più necessario salvare o inviare e ricevere copie locali dei documenti. Le informazioni si condividono in originali, facendo accedere i collaboratori in sola lettura o abilitando i commenti o anche la modifica.

Ognuno fa la sua attività sul documento, e il sistema tiene traccia di chi ha fatto quale modifica e quando, e in buona sostanza ne può certificare le attività ed è in grado di renderle non ripudiabili a fronte del dichiarato indirizzo elettronico.

Non bisogna nemmeno preoccuparsi troppo di mettere in piedi sofisticati meccanismi di classificazione e organizzazione dei documenti, perché i sistemi di ricerca sono così efficaci che trovi qualunque cosa impostando pochi indicatori e scrivendo poche parole chiavi. Il sistema è anche in grado di operare entro certi limiti anche in caso di interruzione della connessione, per poi sincronizzare le informazioni automaticamente.
Mark Benioff, fondatore e
amministratore di Salesforce

Il software?

Sulla luna gli utenti non passano le giornate ad acquistare, installare, configurare, aggiornare del software sul computer di casa, poi un'altro simile o uguale sul computer del lavoro, sul tablet, ecc  Lo stesso software gestito in milioni di copie.

Al contrario gli utenti, con qualunque dispositivo, accedono ad internet, si autenticano e basta, accedono alle funzionalità di cui hanno bisogno. Il software sta nel Cloud, e non è più un problema degli utenti.  Mark Benioff con il suo "No Software" aveva ed ha ragione, punto.

Le infrastrutture?

Non sono più un problema degli utenti. Da noi ancora molte aziende ed enti pubblici per attivare i servizi informatici hanno un proprio data center, con vari server e apparati da gestire e aggiornare periodicamente.
Un po' come si doveva fare nell'ottocento per avere l'elettricità prima dell'avvento delle reti elettriche. L'infrastruttura di produzione dell'energia doveva essere fatti in casa, con investimenti enormi ma necessari per poter disporre dell'energia elettrica.

Poi con l'avvento delle reti tutti è cambiato, e si sono aperte grandi possibilità di espansione per i servizi elettrici, oggi diffusi capillarmente. Oggi ognuno ha diritto ad avere l'elettricità senza dover investire enormi capitali, basta un contratto con un fornitore e paghi solo quello che consumi e puoi aumentare o diminuire le risorse impiegate senza problemi sulla base delle proprie esigenze.  Lo stesso oggi si può fare con qualunque risorsa informatica.

La sicurezza?

Un cloud provider, così come ogni altro fornitore
di servizi condivisi su larga scala (energia elettrica, acqua,
gas, banche)  deve e può investire molto per garantire
la sicurezza, rispettando regole e standard imposti
dal  mercato e dalle leggi.
Da questo punto di vista possiamo considerare il Cloud come l'aereo in confronto all'automobile privata.

Non c'è dubbio che l'Aereo è molto ma molto più sicuro dell'auto, ma un incidente può avere conseguenze molto gravi. Eppure che fai, non lo prendi e fai venti ore di auto dove ne bastano due in aereo, ma soprattutto rinunci ad andare in tutti i posti raggiungibili solo con l'aereo?

Allora lo prendi, cercando di scegliere un gestore affidabile.Quello che si fa per il Cloud.

Ad esempio io uso il cloud di Google da molti anni, che insieme a vari altri è riconosciuto come un gestore affidabile, capace di coniugare brillantemente efficacia con efficienza e  semplicità. Non ho mai perso nulla, i dati sono ridontati molte volte e nessuno è mai riuscito a violare i dati mantenuti come riservati.
Il suo sistema di gestione dell'identità si basa su un semplice codice univoco molto diffuso, l'indirizzo di posta elettronica, una password e - quando richiesto - un codice numerico inviato in tempo reale al cellulare o al tablet dell'utente (come il codice della chiavetta di molti home banking, senza i costi per realizzare la chiavetta). Con questo semplice account io oggi posso accedere a tutto quanto mi serve, a costo trascurabile rispetto all'informatica tradizionale, vi sembra poco?

Il Cloud dovrebbe essere il riferimento essenziale di ogni iniziativa di innovazione. Invece non è ancora così, in particolare nelle iniziative per l'Agenda Digitale e l'Amministrazione elettronica, dove continuiamo a non vedere neppure il dito.

Anche su questo un solo esempio.

Stiamo passando alla fattura elettronica. Invece di pensare ad una soluzione tipo "acquisti con un click" secondo gli insegnamenti di Jeff Bezos di Amazon, noi invece partiamo dallo stesso oggetto che oggi esiste sulla carta e cerchiamo di renderlo in formato elettronico, riproducendo il più possibile il processo del mondo fisico, anzi complicandolo, perché è difficile riprodurre in rete dei processi cartacei e manuali, complica le cose e aumenta i costi.

Prevediamo quindi la creazione e trasmissione in copia di un "file" tra tutte le parti interessate, proprio come se fosse una fattura di carta.

Vale la pena riassumerlo questo processo, stabilito pensate dalla legge Finanziaria 2007, che ha definito il cosiddetto "Sistema di Interscambio" delle Fatture elettroniche.
  1. Chi emette la fattura deve dotarsi di un programma che crea un file nel formato stabilito (xml). L'agenzia per l'Italia Digitale mette anche a disposizione strumenti open-source, che ognuno si può scaricare, installare su un proprio computer idoneo, configurare e poi usare. 
  2. Una volta attivato il programma si può predisporre crea la fattura elettronica,  un file in formato XML. Questo deve essere "nominato in maniera opportuna", e cioè "Codice Paese - Identificativo univoco del Trasmittente - Progressivo univoco del file". "Più file singoli possono essere racchiusi in un file compresso, in formato zip, cioè in un file archivio". 
  3. Una volta creato il file XML o ZIP, l'utente deve apporre la firma digitale, utilizzando un sistema in grado "di valorizzare il parametro “signing time”, che riporta la data e l’ora, ed anche la "time zone" e che assume il significato di riferimento temporale. Non è invece necessaria l’ apposizione della marca temporale".  Non ho parole.
  4. Dopo aver creato il file firmato, questo va inviato ad un sistema di Interscambio delle fatture, gestito dall'Agenzia delle Entrate, al quale bisogna naturalmente preventivamente accreditarsi . Il file si può inviare in vari modi (tramite PEC all'indirizzo sdi01@pec.fatturapa.it, tramite procedura Web e altro). L'importante che l'utente conosca e rispetti i formati e le convenzioni, altrimenti riceverà messaggi di errore, la fattura inviata sarà scartata, e dovrà iniziare tutto daccapo.
  5. Dopo l'invio l'utente deve monitarare lo stato della fattura elettronica inviata, per assicurarsi che tutto sia andato a buon fine.
  6. Il sistema di interscambio, invierà la fattura elettronica al destinatario, via PEC o altro al destinatario.
  7. Il sistema di interscambio non si occupa di conservare le fatture, che vanno conservate a cure degli utenti, insieme alle ricevute di consegna, applicando un processo che vi risparmio (creazione lotti, marcatura temporale, affidamento ad un conservatore abilitato, ecc)
Che dire. Da non credere, vero?
Non dico prendere in considerazione "l'imperativo Facebook", di Benioff, cosa che ormai si dovrebbe già fare, ma almeno applicare le regole alla base dei moderni sistemi di "collaboration".

Si può fare e si deve fare.

Lo fanno le banche con l'home-banking perchè non può farlo la Pubblica Amministrazione.

Per movimentare anche tanti soldi basta accedere ad un sito internet ed inserire dei codici presi da una chiavetta, e in pochi click fai tutto. Nessun software da installare e mantenere e relativo computer da usare in esclusiva.

"Prestami il tablet che devo fare un bonifico", è possibile. Perchè non può essere lo stesso con la fattura elettronica o con la ricetta elettronica, che comunque sono passi in avanti, ma lo sarebbero molto di più se non avessimo attivi degli uffici complicazioni affari semplici e non facessimo leggi che impongono norme tecniche da applicare un decennio dopo la loro emanazione, e quindi totalmente obsolete.

Dobbiamo andare rapidi verso l'Amministrazione elettronica utilizzando al meglio le tecnologie più efficaci, prendendo esempio da chi già le usa efficacemente, senza inventarci l'acqua calda. Invece noi ci inventiamo sistemi complessi, quando attivati già obsoleti e non utilizzabili, con la conseguenza di proroghe su proroghe e continuo utilizzo dei vecchi processi.

L'altro giorno ho ricevuto l'avviso di ricevimento di una raccomandata con ricevuta di ritorno. Sono dovuto andare fisicamente all'ufficio postale, sono entrato alle dieci del mattino e uscito quasi all'una. Non solo la coda, ma anche il sistema informatico che a volte si bloccava.

Alla fine ho avuto una lettere con un'informazione che già conoscevo, poteva essermi notificata validamente per via elettronica (ho anche una PEC volendo), ma per qualche ragione molti di noi amano ancora la ricevuta di carta firmata. Non importa il prezzo.

Non solo il costo della carta, ma delle tre ore o più perse per andare a ritirarla, del lavoro del postino che passa al domicilio in orario in cui ovviamente non ci sono per lasciare l'avviso, dello sportellista che fronteggia la coda di gente spesso arrabiata, del sistema informatico fatto in casa dai costi probabilmente enormi ma dall'efficacia ed efficienza minima, dei furgoni che girano per l'italia per spostare che cosa? Pacchi di carta con informazioni che dovrebbero discretamente apparire sul mio tablet o smartphone:  "Notifica multa. di 50 euro per un divieto di sosta a Torino, in via Roma il 12 luglio scorso, la pago?"  Se so che devo pagarla, clicco, ed è pagata, fatto. Il mio tablet è registrato, sa chi sono io e sa come fare pagamenti per me, quando autorizzato. Costo circa zero contro molte decine di euro del modo attuale, probabilmente più del valore dell'importo richiesto.

Se già posso fare così con la banca, dove li si davvero devo essere autenticato, perchè non posso farlo con la Pubblica Amministrazione e in generale? Non è questione di leggi che ci sono.

"Il documento informatico trasmesso per via telematica si intende spedito  dal  mittente  se  inviato  al proprio gestore, e si intende consegnato  al   destinatario   se  reso  disponibile  all'indirizzo elettronico  da questi dichiarato, nella casella di posta elettronica del destinatario messa a disposizione dal gestore" (art. 45 del Codice dell'Amministrazione Digitale o CAD). Ed è esclusa in ogni caso la trasmissione a mezzo fax (art. 47). 

A decorrere dal 1° gennaio 2013 le  amministrazioni  pubbliche  e  i gestori o esercenti di pubblici servizi comunicano con  il  cittadino esclusivamente tramite il domicilio digitale dallo stesso dichiarato senza oneri di spedizione a suo  carico.  Ogni  altra  forma  di comunicazione  non  può  produrre  effetti  pregiudizievoli  per  il destinatario (art. 3 bis del CAD). 

E io, ovunque ho potuto, ho dichiarato il mio domicilio digitale, anche se con scarsi effetti, finora. Ma non diamoci per sconfitti.

Siamo davvero andati troppo indietro rispetto ai nostri standard, e siamo da qualche anno sul bordo di un burrone, rischiando di cadere e di farci davvero molto male. Dovremmo averlo capito e essere ormai pronti al cambiamento.

Se insistiamo e uniamo le forze vedrete che prima o poi anche noi italiani arriveremo a vedere non solo il dito ma anche la Luna.

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